L'autore, filologo e storico, espertissimo di testi classici e soprattutto appassionato studioso di storia e civiltà greca, offre qui una lettura innovativa della politica di Atene, scoprendo una dimensione retorica della sua grandezza, da tempo legata al concetto della sua democrazia, trasmessa per secoli e divenuta un mito, ambigua rispetto a quella reale che i testi classici tramandano e che ora, dopo un certosino lavoro di raffronto, aiutano a meglio identificare. Oggi ancora persiste nell'immaginario collettivo l'idea che la democrazia ateniese sia stata nell'antichità il modello politico più alto, mai superato rispetto alla contingenza di altre forme democratiche che pure ad essa s'ispirarono.
A chiarire la differenza che passa tra la democrazia perfetta ed ideale inesistente e quella mista, elitaria e democratica dell'Atene di Pericle, ci ha pensato il filologo barese che ormai ci ha abituati a non fermarci alla superficie dei testi, ma a vagliarli ed approfondirli fin nelle sfumature per cogliere il fondo di verità che di solito si annida nel confronto di pagine e pagine delle fonti a lungo meditate.
Canfora l'aveva già detto nel testo dissacrante Filologia e Libertà(Mondadori, Milano 2008), contenente la definizione di filologia come: la più eversiva delle discipline alla ricerca della verità. Questo suo nuovo saggio è la dimostrazione dell'iter che egli intende seguire per uno scandaglio più profondo ed intelligente della storia e dei documenti su cui si fonda. In questo saggio rivela infatti l'equivoco su cui era stata costruita la teoria della democrazia ateniese, partendo da Tucidide e dal suo Epitafio per i caduti del primo anno della guerra del Peloponneso, pronunciato nel 431 a.C. Lì infatti è introdotto Pericle a tessere il grande elogio della democrazia fiorita sotto il suo governo. L'errore in cui tutti sono incorsi è stato quello di ritenere che la forma di governo fosse realmente così e che il pensiero di Pericle rispecchiasse il vero giudizio di Tucidide. Niente di più falso. Sono numerosi i riferimenti in cui lo stesso storico lascia invece intendere che la democrazia ateniese del V sec.fu un governo di élite sostenuto dal popolo nelle assemblee, quindi ebbe la forma mista di aristocrazia e democrazia, quest'ultima solo a parole quindi, non confortata da reali responsabilità. Non solo persisteva la schiavitù, ma la distribuzione della ricchezza era regolata da un gruppo di cittadini ben abbienti che poi effettivamente comandavano, sorretti dalla volontà popolare. E Tucidide non è uno storico sprovveduto, anzi è l'unico che fece veramente esperienza di politica e che intese scrivere fatti che conosceva bene anche per la sua diretta partecipazione. Il discorso dell'elogio della democrazia dunque vuol riflettere il pensiero e la personalità del grande statista non il suo proprio, espediente retorico d'altronde in quell'epoca in cui la storia non aveva ancora canoni d'assoluta obiettività, ma s'illustrava anche coin la retorica. Lo stesso Platone d'altronde, nel Menesseno, fa dire ad Aspasia in riferimento alla politica ateniese: La chiamano democrazia, ma in realtà è un'oligarchia che comanda con l'appoggio della moltitudine. Simili attestazioni ricorrono pure in Senofonte che pensa che l'immagine della democrazia, così come emerge nell'elogio pericleo, vada rovesciata dal momento che essa era un sistema che emarginava i liberi ed i migliori di cui la condanna a morte di Socrate costituiva la prova, insomma un cattivo governo dello spreco e del parassitismo e della corruzione, fondato sullo sfruttamento degli schiavi e sul controllo dell'impiego della ricchezza per fini imperialistici. Il governo della polis greca si adattò alla volontà popolare solo per guidarla, non in realtà perché ne condividesse le aspettative e la volontà. Tuttavia il suo mito durò e prevalse nei secoli fino a giungere noi che invano tentiamo di trovare e di concretizzare l'idea prevalsa di democrazia come la più perfetta delle forme di governo.
Benjamin Constant nell'Ottocento intervenne a chiarire la differenza sulla libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, in un celebre suo discorso pronunziato nel 1814 e pubblicato l'anno successivo. La differenza egli dice rispetto ai moderni l'aveva fatta la rivoluzione francese, inalberando l'ideale della libertà non più restrittiva come nel passato schiavistico, ma aperta e rivoluzionaria. Il mito quindi d'una democrazia ateniese fortemente idealizzata rientra così nell'alveo d'una reale esperienza politica divisa da contrasti e brevi composizioni com'è anche oggi, solo per tenere alto il potere di pochi sulle masse. Anche nella storia romana la parentesi del Cesarismo venne ad aprire le porte ad un principato idealizzato come l'età aurea per eccellenza, fondato sulla concordia solo apparente delle classi classi sociali e delle forze militari temporaneamente soggiogate e strumentali. La storia insomma si ripete anche se in forme diverse, il che rivela l'eterna illusione di chi pensa di avere appreso la lezione e di potersi indirizzare a forme progressive di sviluppo. Quello che appare una costante nella revisione necessaria del percorso storico è invece il gioco altalenante del potere politico che tende a promuovere non il bene delle comunità, ma le istanze dei più forti e dei più ricchi anche a costo d'usare mezzi ingiusti e spregiudicati. Eppure l'età di Pericle fu detta aurea per la civiltà che espresse con la fioritura di forme straordinarie di sapere e pure quella augustea del tempo romano fu cantata da poeti come Virgilio come un autentico ritorno all'età dell'oro di cui si favoleggiava.
Il lungo itinerario tracciato da Canfora in più di 500 pagine di analisi storica per chiarire i nodi dell'interpretazione antica del terminedemocrazia tende anche, come accade in tutte le sue opere, a studiare il passato per meglio comprendere il presente. È quest'ultimo che lo fagocita, su cui frequentemente s'interroga con assillante urgenza per capirne le strutture che stanno alla sua base e per trovare vie d'uscita ad una crisi attuale che appare vasta e diffusa come se i fondamenti della democrazia che credevamo solidi, anche se faticosamente costruiti, stessero all'improvviso per cedere. Al di là del timore d'un tragico fallimento, tante volte ripetutosi in tempi drammatici e bui, però, a mio parere, si nasconde pure la speranza di rinvenire una via di convincimento razionale che possa appianare i conflitti e condurre ad esiti propizi, una sorta insomma d'intermediazione che indebolisca le forze retrive e distruttive a favore di quelle sane e rigeneratrici per una tregua necessaria, la stessa che fece pensare che l'età di Pericle in Grecia e di Augusto a Roma avessero segnato il ritorno all'età aurea dell'umanità.
Forse utopia, ma in fondo l' attesa di una soluzione positiva aiuta a sopportare meglio le asprezze del corso storico e ad attenuare la presente negatività.
Gaetanina Sicari Ruffo
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