giovedì 12 aprile 2012

Dorothy Louise Zinn - La raccomandazione - Clientelismo vecchio e nuovo, Donzelli Roma 2001.


Che dovesse pervenire da una statunitense uno studio ampio ed articolato sulla devastante pratica sociale della raccomandazione in Italia, è un fatto che solo in un primo momento lascia sorpresi. In fondo, dicono  che nel Corano i cammelli non siano mai citati; sono per così dire tanto  impliciti nel paesaggio locale che non è necessario farvi continuo riferimento (come la neve nei romanzi russi!). Analogamente vogliamo credere che il nostro cammello della raccomandazione sia così presente nel nostro paesaggio morale che farvi riferimento, da parte dei nostri studiosi delle scienze sociali, suonerebbe pleonastico. Si sa come vanno certe cose in Italia!

Eppure,  credo che tale problematica non sia al centro delle osservazioni e degli studi dei nostri sociologi e antropologi per almeno due ragioni. La prima è dovuta a quella specie di rimozione nevrotica cui alludeva il dimenticato antropologo degli italiani Carlo Tullio-Altan (che ahimè non trovo citato dalla Zinn con nessun libro nell'ampia bibliografia finale ) nel saggio La nostra Italia, allorché si poneva ad argomentare sulla mancata attenzione dei nostri studiosi verso certe forme di arretratezza socio-culturale del nostro Paese. Questa rimozione nevrotica tende ad occultare un primato amorale e incivile del nostro Paese, e a nessuno piace vedersi bollati come backward society, locuzione che, ricordo, è nel titolo del celebre studio sul familismo amorale di  E. C. Banfield - The moral basis of a backward society appunto- o essere oggetto di studio come una tribù di Tubinambà o di Nambikwara alla mercé di qualsiasi Levi-Strauss di passaggio. (1)  In secondo luogo ritengo che tale prassi sociale sia così diffusa e condivisa anche presso i nostri figli di Academo, e a tal punto, che impedirebbe loro, pour cause,  di farne oggetto, non dico di denuncia pubblica ossessiva e percussiva, come la gravissima questione morale richiederebbe, ma di semplice, impassibile oggetto di indagine, (2) anche perché pur sottacendo i propri peccati privati in materia, occorrerebbe presso costoro un'indignazione suppletiva - o una tensione universalistica pronunciatissima - che essi evidentemente non possiedono. Si sa come vanno certe cose in Italia!

Così, da straniera, che in etnologia significa assistita dal regard éloigné di chi viene da fuori  della comunità osservata, ma che ci vive dentro con gli strumenti dell'osservazione partecipante, la Zinn avvia un'indagine sul campo nel paese di Bernalda, nel materano. Ora, tanti anni dopo Banfield tornare in Basilicata per un'altra indagine etnologica significa privilegiare quella regione come se essa abbia in vitro tutto il destino sociologico della nazione, o, come la Sicilia per Goethe, sia la chiave di volta di tutto. Questo privilegio della Basilicata ha destato di recente la sapida ironia dello scrittore potentino Gaetano Cappelli che nel suo ultimo godibilissimo romanzo Storia controversa dell'inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo, si inventa una studiosa americana, Chatryn Wallitriny, desiderosa di raggiungere il Nepal per una indagine sul campo ma che viene invece dirottata dalla Columbia University in Basilicata (tanto fa lo stesso parrebbe sogghignare Cappelli), a verificare cinquant'anni dopo Banfield lo stato del familismo amorale. Qui incontra il principe degli assenteisti universitari il basilisco Riccardo Fusco che ha scritto un saggio di etologia sociale, Le oche in piazza... e insomma la Basilicata magica, savana privilegiata per la caccia grossa di studiosi della taranta, dello sputo e della saliva, si deve sentire per mano del suo scrittore più significativo di oggi un po' stanca di essere oggetto di studi sul primitivismo sociale. 

Sia come sia, la Zinn non tace in questo libro le sue origini materane, né tanto meno la propria condizione sociale attuale e spesso sottolinea episodi della propria vita familiare (la scelta delle bomboniere ad esempio) per stringere più dapresso la propria osservazione partecipante, non certo senza garbo, con un pizzico di ironia talora, con molta simpatia verso gli osservati, seppure la pagina saggistica sia immersa in una mole di studi etnologici che zampilla da ogni dove. 

E venendo al merito del libro, occorre sottolineare che in prima istanza la cultura della raccomandazione, appare alla Zinn, sulla scia di Marcel Mauss, un "fatto sociale totale", ossia qualcosa che descrive interamente una società, la connota intimimamente  (fa sì che si possa dire, aggiungiamo noi, che "un paese è tutto un mondo", specificità questa contrapposta alla tendenza generalizzante e minimizzante   di chi afferma invece che in fondo "tutto il mondo è paese"), fatto sociale totale che  interagisce a tutti i livelli sia privati che pubblici: nella sfera politica, in quella economica, in quella della parentela e della religione. La raccomandazione è «tanto una ideologia quanto un fenomeno ideologico, che permea lo stile di molti tipi di relazioni sociali dell'Italia meridionale». Ovviamente è una ideologia da intendersi come fattore mentale-culturale, qualcosa da assimilare a una concezione del mondo molto vicina al concetto francese di mentalité (che per Michel Vovelle sulla scia di Fernand Braudel è da concepirsi come la "tomba della lunga durata"), un fattore culturale inerziale cui tutti i soggetti di una data società soggiacciono e a cui tutti si adeguano costretti, perché tutti i player di detta società giocano quel gioco. 

Di più, per la Zinn la raccomandazione non è solo una prassi sociale e una ideologia, ma anche una vera e propria forma della comunicazione. Francamente quando la studiosa è giunta a tratteggiare questo aspetto, a parlare della "poetica del clientelismo" e a enucleare i tratti linguistici della questione, lo  stile espressivo, mi sono un po' raffreddato a seguirla, come  quando affronta la "raccomanazione come enunciato" (ad esempio: "Mi manda Picone"). Mi è sembrato che allargando i confini del tema si perdesse di vista il fatto sociale nella sua essenza, e lo si annegasse nel vasto oceano della comunicazione sociale. Allo stesso modo non ho trovato molto chiara e stringente la sua tassonomia dei generi e sottogeneri della raccomandazione, che andrebbe dalla autoraccomandazione, alla raccomandazione di simpatia, fino a quella con tangente (sia in denaro che in natura) e al cronyism (cioè un "clientelismo degli amiconi"). Tutte le volte invece che la Zinn centrava la raccomandazione come prassi sociale sorretta da una ideologia, da un condizionamento mentale-culturale,  la trattazione della problematica ritrovava subito il mio consenso. Così ad esempio il tema dell'isomorfismo  tra clientelismo e culto dei santi (averci un santo in cielo e uno in terra che media, protegge e raccomanda); il fatto che la raccomandazione è drammaticamente un arcaismo particolaristico-feudale che resiste  alla rete dei rapporti stabilita con l'avvento nel mondo moderno occidentale del modello universale-razionalistico: la contrapposizione tra cultura del dono e mercato; insomma quando la raccomandazione è tratteggiata per quello che è: una forma pre-moderna, arretrata, di concepire i rapporti individuali e collettivi, tutta la trattazione trovava il mio consenso di impaziente lettore. 

Io capisco che un'osservatrice ospite non voglia spingere sul pedale della "sindrome dell'arretratezza socio-culturale" all'interno della quale è iscritto a  mio avviso il fenomeno vasto e devastante della raccomandazione. C'è una sorta di cautela e di garbo negli studiosi stranieri (anche in P.Ginsborg) a trattare questi temi, quasi che non vogliano, per mera cortesia di ospiti, maltrattarci. Di ciò li ringraziamo. Ma noi che italiani siamo, membri della tribù, e che abbiamo subìto sulla pelle il fenomeno, possiamo permetterci qualche risentita rozzezza e dire della raccomandazione ciò che realmente è: una turbativa grave dei destini sociali, quel misfatto sociale che prende a calci il merito paziente (Shakespeare,Amleto), che non consentendo, attraverso regole chiare e stringenti,  una libera asta degli ingegni, determina il trionfo dei mediocri, sottrae energia al motore della mobilità sociale e depotenzia tutta la società, portando saturnismo e "distruzione dei migliori"-  per dirla con O. Seeck, studioso della fine dell'impero romano-, nelle classi dirigenti.  Interi pezzi della nostra società, delle nostre aziende (si veda la Rai, l'Alitalia, gli ospedali, etc) sono stremate da questa diffusa pratica sociale. Questo fenomeno sta portando l'Italia al collasso, e chiederebbe la sferza di un moralista ulcerato e risentito o l'intervento di un implacabile Licurgo, piuttosto che la trattazione "scientifica", ma talora simpatetica e indulgente, di questo testo, che pure ha  il merito di affrontare  il tema di petto.

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