Romano Luperini, L’uso della vita. 1968, Transeuropa ,
Massa 2013
Come leggere un romanzo come questo che reca nel titolo
un’allusione a una probabile storia privata e una data storica controversa? A
mio avviso si fa un errore se lo si legge a partire dalle proprie convinzioni
su quella data-evento che tanto ancora trascina consensi estatici e
rifiuti viscerali. Eppure il romanzo è tutto ambientato nella Pisa della
contestazione studentesca di quell’anno: è chiaramente un romanzo sul
’68. L’ennesimo non si potrebbe dire, perché proprio sul versante narrativo
quell’anno è stato piuttosto trascurato, mentre su quello saggistico a ogni decennio
che finisce con l’otto si contano decine di volumi di approfondimento e di
analisi storiche.
A Luperini non credo interessi narrare il ’68,
ma la sua vicenda personale, privata, trasfigurata nel personaggio
schermo di Marcello, nel ’68. Non interessa cioè spiegare, ma
rappresentare. È il resoconto dell’impatto di un Io col mondo e delle risonanze
di un’epoca in un Io. È una coscienza, la sua, che agisce dentro un evento
storico, un po’ come il Frédéric Moreau dell’Educazione sentimentale nel
’48 parigino: si tratta di una storia tipica di formazione di una individualità
dentro il flusso degli eventi, di una educazione sentimentale dentro uno
scenario storico: la storia con la minuscola di questo individuo precipuo –
Marcello nella finzione – nella Storia con la maiuscola.
Se è questa la giusta angolatura di lettura, l'anno messo nel titolo diventa meno temibile: in fin dei conti si tratta di dare conto, con il sussidio della letteratura (trattamento stilistico e metaforico di vicende al modo dei romanzi storici: un misto di “storia e di invenzione”), della rifrazione degli eventi storici nella coscienza di un giovane in formazione. Ma anche il suo contrario: la proiezione di una coscienza nell’evento storico, il quale nasce e si sviluppa e trova la sua modalità espressiva proprio a partire dalle coscienze desideranti dei coesistenti che piegano il proprio tempo alle proprie volizioni, e lo determinano. In questo senso il ’68 di Marcello potrà valere il ’74 o il ’99 di qualcun altro, sul piano strettamente privato, ma non su quello pubblico e storico, perché qui la condizione discriminante è che in altri anni si sia dato luogo a movimenti collettivi di tale sorta.
Se è questa la giusta angolatura di lettura, l'anno messo nel titolo diventa meno temibile: in fin dei conti si tratta di dare conto, con il sussidio della letteratura (trattamento stilistico e metaforico di vicende al modo dei romanzi storici: un misto di “storia e di invenzione”), della rifrazione degli eventi storici nella coscienza di un giovane in formazione. Ma anche il suo contrario: la proiezione di una coscienza nell’evento storico, il quale nasce e si sviluppa e trova la sua modalità espressiva proprio a partire dalle coscienze desideranti dei coesistenti che piegano il proprio tempo alle proprie volizioni, e lo determinano. In questo senso il ’68 di Marcello potrà valere il ’74 o il ’99 di qualcun altro, sul piano strettamente privato, ma non su quello pubblico e storico, perché qui la condizione discriminante è che in altri anni si sia dato luogo a movimenti collettivi di tale sorta.
Un anno in cui la politica e il sentimento premevano con la
stessa cogenza, l’universale del mondo e il particolare del privato si
mischiavano in un’unica bolla esistenziale, dove si poteva discutere in maniera
distillata e un po’ bizantina – ma ineludibile per chi credeva di fare la
rivoluzione – sul ruolo delle avanguardie e delle masse e fare all’amore
nei sacchi a pelo (come avviene nel romanzo) nell’università occupata.
Leggiamo nel libro di Luperini:
C’era una corrente nel mondo e lui ne faceva parte. Tutto
il mondo era coinvolto e si muoveva, l’offensiva dei vietcong in Vietnam, la
Cuba di Castro e di Che Guevara, la Cina di Mao, gli studenti e i neri
americani, la manifestazione pacifista di Washington, la primavera di Praga, i
Beatles e i Rolling Stones, la scuola di Barbiana e i cattolici del dissenso,
lo sciopero attivo di Trento, e poi la battaglia di Valle Giulia, la reazione
all’assalto dei fascisti all’università di Roma…Tutto si trasformava, in pochi
giorni, la gente cambiava, cambiava con una velocità sorprendente, pronunciava
nomi nuovi fino a poco tempo prima sconosciuti, Camillo Torres, Malcom X, Lin
Piao, Rudi Dutschke … e attraverso quei nomi passava tutta una nuova visione
della vita. Ecco pensava Marcello, ho sempre cercato l’intensità, e l’intensità
ora è qui, a portata di mano.
E Marcello ristretto in prigione:
Pensava che forse questo era lo scotto che la sua
generazione doveva pagare: per raggiungere l’intensità, per lacerare le
convenzioni e tentare una vita più vera, bisognava vivere sempre sull’orlo,
come trasportati da una scarica di adrenalina all’altra, e dalla gioia di
poteva precipitare di colpo nell’abisso più cupo. Gli estremi si toccano, la
felicità era a portata di mano, come la sconfitta e la catastrofe.
Se, come scriverà Sofri (nel romanzo che abbiamo
tra le mani Adriano è uno dei protagonisti chiamato spesso con nome e
cognome come D’Alema, Della Mea, Fortini, da una frase del quale è preso
il titolo) in un saggio su “Micromega” di qualche decennio dopo “quella
degli anni Sessanta è soprattutto una storia di generazione e di amicizia”,
queste parole potrebbero fungere da sottotitolo del
romanzo, aggiungendo anche il termine di amore, riferito alle due ragazze amate
nel libro, Ilaria e Sandra, e ai genitori del protagonista rievocati con
toni asciutti ma fortemente commoventi.
Qualche decennio fa era in voga il termine tedesco di Erlebnis a
indicare «esperienza vissuta», l’aspetto personale, unitario,
attivo in cui il “momento di vita” è percepito con intensità e
forte partecipazione emotiva nel suo stesso compiersi dal soggetto. Qui
l’Erlebnis di Marcello è dato con forte intensità sia nel piano
intellettuale (il dissidio col padre comunista, l’espulsione dal PCI,
l’adesione alla visione movimentista e “immediatista” di Adriano Sofri),
sia sul piano privato, sentimentale e finanche sessuale. A tal proposito,
alcune défaillances sessuali del protagonista (a
comprova che ogni educazione sentimentale è soprattutto, alcuni dicono
esclusivamente, un’educazione sessuale) e un disastro procurato da un
amplesso non protetto non sono episodi secondari della narrazione, anzi
quest’ultimo fatto del tutto intimo, impedirà a Marcello di partecipare
alla scena culminante della contestazione pisana – ossia quella della
contestazione davanti alla Bussola di Viareggio nella notte di Capodanno del 1968:
ed è come se a Fabrizio del Dongo fosse occorso di mancare alla
propria Waterloo.
Luperini, che è il più grande studioso di Verga in Italia,
ha imparato dal proprio autore, credo, l’arte della condensazione.
Asciutto, ma preciso ed essenziale è il tono del referto, di questo documento
umano consegnato al lettore, e forte è la capacità dell’autore di
impaesare” ed emozionare chi legge nel corto raggio della propria esperienza
vissuta. La scommessa, qui vinta, di ogni libro in cui l’autore tange la propria
biografia è di saper fare una selezione dei fatti della propria occasione
terrena, metterli narrativamente in tensione e assegnare a essi la
propria “versione” dell’esistenza, suggerendo infine che questa e
non altra poteva e doveva essere anche la nostra di lettori se ci fossimo
trovati lì e allora.
Un libro bello e necessario, di intensa resa artistica.
Procuratevelo su Internet, come ho fatto io, perché sicuramente merita la
vostra attenzione di lettori attenti alla scrittura di qualità.
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