"Non si può pretendere di essere un grande poeta
bulgaro e di successo", ammoniva Eugenio Montale. La lingua è un limite
oggettivo, nonostante le traduzioni, per la diffusione di un'opera. Quella italiana è parlata dallo
zerovirgola nel mondo e quella bulgara dallo zerozerovirgola. I successi
planetari non possono che essere inglesi o anglosassoni (in attesa che i cinesi
comincino a leggere e la smettano di assediare il mondo con i loro manufatti).
Dai tempi della Regina Elisabetta I, da quando l'Inghilterra sconfisse l'altra
potenza continentale, la Spagna, la lingua parlata da una minoranza di persone
abitanti un' isola flagellata dal maltempo si è diffusa nel mondo, e da allora
ancora impera. La lingua ha veicolato
oltre alle narrazioni anche usi e costumi. Hanno così imposto gli alberi di
Natale, Halloween, le saghe nordiche, i
maghetti e le sfumature di grigio e poi chissà cos'altro. Qualche critico
intelligente, George Steiner, l'ha fatto
notare, ha cercato di segnalare i nostri Sciascia o Gadda, ma il limite della
lingua sembra un insuperabile handicap
(parola inglese!).
Non è solo un problema di lingua ma anche di contenuti, più
o meno fruibili da mentalità "altre". Ad esempio pochi sospettano che il "neorealismo" italiano è
tanto piaciuto all'estero proprio perché
confermava o rispecchiava (senza
volerlo) uno stereotipo di un popolo un po' caciarone, un po' straccione, un
po' ladro ( di biciclette). Anche gli elementi attesi (in termini di stereotipi
certo) decidono della fortuna di un’opera. Il Michelangelo Antonioni tormentato
da angosce esistenziali come un Bergman mediterraneo, se da noi veniva
sdoganato come le dérnier cri della
modernità (vedete anche noi siamo moderni e angosciati, siamo esistenzialisti
pure noi!) all’estero suscitò qualche
perplessità (vedi Jean-François Revel, Pour
l’Italie, bisognerebbe vedere cosa ne ha scritto un suo estimatore americano
come Seymour Chatman, però). È stata tanto forte questa immagine dell’Italia
neorealista che un cineasta certamente intelligente (anche se un po’ bollito
negli ultimi anni) come Woody Allen, all’atto della pubblicità commissionatagli
da una catena di supermercati ci ha rappresentati come nei film degli anni ’50 (che era il filtro attraverso il
quale ci aveva visti probabilmente in qualche sala di cinema d’essai
americana). Nell'operazione di "transplant" si perdono molte cose e
se ne acquistano delle altre, spesso non consustanziali all'opera, non nelle sue intenzioni.
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